LA REPUBBLICA di Domenica 6 luglio 2014 ha pubblicato a pag.
50/51 un’intervista che il critico cinematografico MORANDO MORANDINI ha
rilasciato ad Antonio Gnoli.
Ho
conosciuto personalmente e casualmente Morandini, molti anni fa (grazie ad
alcuni amici), e più volte ho avuto la possibilità di ascoltarne presentazioni
e critiche cinematografiche, durante vari festival e/o rassegne. In particolare
presso il non-più-in-uso cinema di Via Caminadella, qui a Milano. Ne ho un ricordo molto bello, quanto vivido. Mi
ha sempre colpito l’umanità di questo signore, l’uso delle parole, la sua
capacità di portare l’ascoltatore dentro la storia del film di cui ci parlava.
In particolare, ci fu una serata dedicata a Cinema
e Shoah, proprio in Via Caminadella. Morandini ci parlava di uno dei film
della rassegna, e del suo contesto. Bene, tutti in sala, abbiamo potuto vedere
questo intellettuale cedere alle lacrime, mentre ci parlava di quel film e
della vicenda lì narrata. Di cui, purtroppo, ora non ricordo il titolo. Sono passati
molti anni. Ma non si cancellerà mai l’immagine di questo Morandini, che
insegna al pubblico che cosa significa la passione per il proprio lavoro,
dentro cui, lui, e per tutta la vita, ha immesso la sua passione per l’umanità.
Tra
pochi giorni, Morandini compie 90 anni. E l’intervista del 6 luglio vuole
festeggiare questo Maestro. Il quale, sollecitato dalle domande del giornalista
racconta di sé.
A un
certo punto, parla del padre:
Era un entusiasta militarista. Entrò nella
milizia fascista. Ci perseguitava con le sue frasi, i suoi atteggiamenti
viriloidi. Ho dovuto sopportarlo per anni. In compenso ho adorato mia madre.
Morì nel 1942 e per me si aprì un periodo complicato.
Quanto complicato?
Abbastanza da mettermi di malumore. Si
accentuò un difetto che mi portavo da bambino: la balbuzie. Ancora oggi, sente,
come a volte mi impunto su delle parole.
E come l’ha vissuta all’inizio?
Mi pareva un limite, come avere una gamba
più corta. Però poi mi sono accorto che quel “limite” andava abbastanza d’accordo
con il mio carattere, che tendeva a farmi stare sempre un po’ in disparte.
Diventai così una specie di balbuziente felice e solitario.
Si è mai chiesto da dove nascesse quel
difetto?
Emotività, vergogna, paura, rabbia. Chi lo
sa? Per risolverlo ho provato a imparare a respirare. Ma come vede ancora
balbetto. Penso sia un modo per farsi rubare le parole.
Chi le ruba?
Ogni tanto penso a un piccolo demone
malignetto. Un guastatore della lingua che piccona le sillabe, prosciuga le
vocali, svolazza sulle piccole frasi creando scompiglio.
E’ la sua ossessione?
I demoni possono diventare la nostra
ossessione
Ha letto Dostoevskij?
L’ho letto. Mirabile. Profondo. Ma di una
una profondità irraggiungibile. Quasi paralizzante.
In che senso?
Non è una novità dire che Dostoevskij aveva
guardato nel baratro del suo mondo. Cogliendone tutto l’orrore, l’assurdità, il
pericolo. Io, giovane lettore, cosa avrei dovuto fare a quel punto? Alla fine
provavo ammirazione per la sua lucidità ma nessuna empatia. Nessuna
condivisione. Se si afferma che Dio è morto e che qualunque cosa è ammessa, il
mio primo pensiero non va al nichilismo feroce, ma allo sdoganamento del
consumismo che in questi anni, non ora che stringiamo la cinghia, ci ha
afflitti e ridotti a espressioni dell’onirico.
L’intervista
prosegue, ed è interessante, per chi lo voglia, l’intera lettura: un breve e
rapido sguardo sulla vita di quest’uomo, il cui nome è legato, tra l’altro, al
famodo Dizionario del Cinema, da 15 anni pubblicato, ogni anno, da Zanichelli, il
Morandini appunto.
Ho
voluto inserire questa parte dell’intervista, dedicata alla balbuzie. Morandini
era, è personaggio pubblico. Anche per le sue numerose presentazioni e
conferenze tenute davanti ai folti pubblici, che andavano al cinema a vedere un
film, ma soprattutto andavano a sentire il Morandini che parlava.
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